Cicli Ortelli Faenza / Biciclette su misura / Faenza, Italia / 1921 – 1990
Fonti: intervista a Vito Ortelli / troppebici.wordpress.com / “sei chili e mezzo di biciletta” di Luigi Severi / “Vedrai che uno arriverà. Il ciclismo fra inferni e paradisi” / museodelciclismo / Ciclisti Resistenti / Il ciclismo degli inossidabili / Campioni del ciclismo di Romagna, di Ivan Neri, Bacchilega Editore. / Artigiani e Bicilette in Romagna nel ‘900, di Ivan Neri, W. Berti Editore
Collaborazioni: Cino Cinelli / Umberto Patelli / Aride Rivoli / Antonio Alpi
Palmarès: Campione italiano allievi / 14 vittorie da dilettante / 2 volte campione italiano di inseguimento su pista / Campione italiano su strada / Tutti i risultati
Invenzioni: primi anni ’40 Lazzaro Ortelli inventa una tecnica per ottenere la marca in rilievo direttamente sull’acciaio del telaio / fine anni ’40 Lazzaro Ortelli crea il primo tubo in acciaio a sezione stellare /
LAZZARO ORTELLI
Lazzaro Ortelli nacque nel 1892 a Torre di Ceparano, nei pressi di Faenza, la sua storia come artigiano costruttore cominciò molto presto, a soli 6 anni la famiglia lo. mandò a fare l’apprendista alla Marabini di Reda, piccola officina specializzata in riparazioni meccaniche che, dopo la seconda guerra mondiale, crebbe fino a diventare azienda produttrice di telai, prima con il marchio Maga e poi Alma. Siamo nel 1898, in questi anni ragazzini analfabeti lavorano in cambio di vitto e alloggio e la bici è ancora considerata un mezzo di lusso per i pochi che se la potevano permettere.
Dalla Marabini oltre a Ortelli uscirono eccellenti maestri costruttori come Cicognani, Tassinari e Viroli, quest’ultimo fu il meccanico di Moser ai tempi del record dell’ora a Città del Messico. Lazzaro venne assegnato alla riparazione delle ruote.
A quattordici anni Lazzaro aveva quindi già imparato a costruire le ruote e le nozioni base di meccanica e lavorazione dei metalli. Durante la guerra in ragione della sua esperienza venne quindi assegnato all’officina militare come operaio specializzato per la riparazione delle armi. In questo periodo non approfondì l’arte dell’assemblaggio dei metalli, in cui aveva già esperienza, ma imparò a leggere e a scrivere insieme alla basi della matematica, nozioni fondamentali per la gestione della bottega che aprirà negli anni Venti a San Giovannino e nel 1936 a Ponte delle Grazie a Faenza.
Tra i primi clienti di Ortelli vi fu il grossista Zanazzi di Bologna il quale rimase impressionato a tal punto dall’abilità e dalla passione di Lazzaro da commissionargli una bici per la Fiera del Ciclo di Milano. A quel tempo la Fiera riservava un premio per il miglior telaio in esposizione e così Lazzaro costruì il telaio ma non lo firmò, convinto di non poter competere a soli 22 anni con gli altri ben più famosi ed esperti costruttori italiani. Eppure la sua creazione vinse il primo premio e la giuria non sapendo il nome dell’autore lo battezzò Telaio Romagna.
Nei primi anni ’40 Lazzaro riuscì a piegare verso l’interno la sezione di alcuni tubi in acciaio, fino a dargli una forma a stella molto simile a quella dei tubi lanciati da Colnago quarant’anni dopo e prodotti poi da tanti marchi. L’idea di irrigidire il tubo con le pieghe per scaricare meglio lo snervamento del ciclista sui pedali era un’idea rivoluzionaria ma purtroppo non praticabile al tempo, il tubo così rigido infatti tendeva a crepare a causa delle sollecitazioni causate delle strade dissestate di allora.
Lazzaro fu un abilissimo artigiano costruttore di biciclette, il suo amore per le bici comprendeva tanto la meccanica quanto le competizioni e nel 1926 riuscì nell’organizzare a Faenza una corsa, la mitica Coppa Ortelli, nella quale esordì a 13 anni Glauco Servadei.
Vito Ortelli: “Nonostante il suo modesto negozio di meccanico, Lazzaro fu fin dagli anni venti un maestro tra gli artigiani delle due ruote, un uomo semplice, serio e orgoglioso che, oltre all’obiettivo di sfamare la seppur poco numerosa famiglia, dato che sono figlio unico, metteva nel lavoro la passione e l’arte per un mezzo, la bicicletta, che avrebbe in seguito regalato grandi soddisfazioni alla nostra famiglia.Era uno di quei fabbri talmente abili con le mani da riuscire a creare foglie in ferro che sembravano vere fin nei dettagli delle venature. Quando sperimentavo nuove soluzioni in officina era poi sempre lui quello in grado di realizzarle”.
VITO ORTELLI
Nasce a Faenza nel 1921 in un incubatoio dell’azienda Marabini dove lavorava il padre. A soli 6 anni Vito è stato probabilmente il più giovane ciclista dei suoi tempi, nel 1927 infatti le bici per i bambini non erano ancora state nemmeno immaginate ma il padre, riducendo i cerchi e adattando gomme e camere d’aria, riuscì a costruirgli una piccola bici, lasciandola però volutamente senza freni per costringerlo a non andare troppo forte, a giudicare da come andarono poi le cose, uno stratagemma decisamente poco riuscito. Dalle prime scorribande con quella piccola bici Vito tagliò nell’arco della sua carriera molti traguardi diventando uno dei più importanti campioni nella storia del ciclismo, l’unico nell’immediato dopo guerra in grado di competere allo stesso livello con Coppi e Bartali.
Nel 1938 Vito lasciò l’officina dove lavorava con il padre e dove già a 15 anni saldava i telai, per intraprende una carriera di corridore che lo portò ad essere ben quattro volte campione italiano: due su strada, da allievo e professionista e due su pista, battendo entrambe le volte Fausto Coppi. Al Giro d’Italia ottenne un terzo e un quarto posto, vestendo la maglia rosa per un totale di 11 giornate. Durante la guerra, come anche Bartali e altri ciclisti, collaborò con la Resistenza, mentre nel 1948 recitò se stesso nel film “Totò al Giro d’Italia” insieme ai campioni dell’epoca. Nel 1952 si ritirò dalle competizioni a causa di gravi problemi fisici alla gamba rimanendo però vicino al mondo del ciclismo e impegnandosi, insieme agli amici Magni e Cinelli nella difesa dei diritti sindacali dei corridori fondando l’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani, della quale Ortelli fu vice-direttore per oltre vent’anni.
Il ritorno in officina.
Intorno alla metà degli anni ’50, con un recente passato da grande campione alle spalle, Vito tornò a Faenza per lavorare di nuovo con il padre nell’officina ricostruita dalla distruzione dei bombardamenti grazie ai soldi guadagnati grazie alle sue vittorie sportive.
Furono molti i corridori famosi che fondarono un marchio di biciclette a proprio nome, molto più rari i campioni come Ortelli che le bici le costruirono veramente e con le proprie mani. Gli artigiani più abili si costruivano da soli anche gli attrezzi dell’officina, come il piano di riscontro per l’assemblaggio del telaio che Vito ricavò dallo sportello di un autoblindo tedesco della seconda guerra mondiale abbandonato vicino a casa.
Vito Ortelli: “L’officina si trovava lungo le mura di Faenza mentre il negozio all’angolo del Ponte alle Grazie fino a quando fu bombardato e lo dovemmo trasferire poco più avanti. Le bicicletta venivano assemblate utilizzando una fucina a carbone per scaldare i tubi d’acciaio e poi effettuare la saldatura. Allora tra artigiani c’era stima e rispetto, mio padre e Guerra di Lugo erano i più abili e si fabbricavano da sé i pezzi mentre gli altri erano ancora arretrati e compravano tutto già montato. Come tubi usavamo gli italiani Columbus e in parte minore anche i Reynolds, che arrivavano da Coventry in Inghilterra tramite la Legnano, e i Falk.”
V.O: Le pipe più particolari le facevamo fare ad un bravissimo artigiano di Bologna che riusciva a costruire stampi personalizzati su nostro disegno, così potevamo creare le congiunzioni come volevamo, altre congiunzioni e le pipe le compravamo dall’amico Cino Cinelli, correvamo insieme alla Bianchi da Ragazzi ed eravamo molto amici, a me e a pochi altri (Marastoni) permetteva di usare i componenti speciali in ghisa malleabile che erano più resistenti, bisognava saperle lavorare in quanto la ghisa a differenza della lamiera quando viene scaldata troppo rischia di spezzarsi facilmente durante la lavorazione ma era un ottimo materiale, questi pezzi venivano prodotti in Svizzera (Georg Fischer).
V.O: Le Congiunzioni che oggi non vengono più utilizzate erano a mio parere anche un bell’ornamento del mezzo, anche se non lasciavano vedere se effettivamente la saldatura era fatta a regola d’arte oppure no, i bravi artigiani prima di saldare i tubi dentro le pipe ne smussavano le estremità in modo che che appoggiassero tra loro dentro la congiunzione per far si che il triangolo principale da cui era costruito il telaio fosse effettivamente un tutt’uno, altri per impiegare meno tempo smussavano la tubatura con un taglio netto e la incastonavano senza far coincidere i tubi ottenendo all’insaputa del cliente un prodotto di qualità inferiore.
Per la cromatura si immergeva prima il telaio nel rame per una maggiore protezione, il rame è infatti il materiale che entra meglio nei pori del metallo e veniva utilizzato per primo, poi lo si immergeva nel Nichel per un ulteriore protezione al deterioramento fino a che non prendeva un colore bianco intenso e infine il bagno nel cromo che dava un bel colore alla bicicletta. Dopo la guerra molti hanno cominciato a fare un unico bagno al cromo lucido, procedimento sicuramente inferiore al vecchio ma meno costoso. La verniciatura si svolgeva in tre fasi: prima si apportava del Minio che è Ossido di Piombo per preparre il telaio al primo strato di vernice al quale, con una tela fine, si applicava il secondo strato, in genere un colore nero perché più resistente alle alte temperature.
All’inizio facevo verniciare e cromare da Cicognani e Cimatti di Faenza, poi quando loro si dedicarono ad altri settori andai da Leoni. Era un grande artista, faceva filettature e disegni a mano libera direttamente sui telai dopo averli verniciati, erano delle opere d’arte. Un altro grande artista era Gino Cornazzani di Castelbolognese, faceva delle incisioni splendide e spesso mi servivo di lui per abbellire i telai, sempre per ragioni estetiche sono stato il primo in Italia ad imprimere sul tubo il mio nome in rilievo.
V.O: Ho imparato a saldare all’età di quindici anni ma mi sono dedicato alle corse e nel frattempo ho curato la parte commerciale dell’azienda, a fare l’artigiano ho cominciato solo quando ho appeso la bici al chiodo. Quando ero professionista oltre alle nostre biciclette vendevamo anche quelle delel grandi case per cui correvo in quanto mi facevo pagare in biciclette.
Ho imparato moltissimo osservando mio padre mentre lavorava, ma mi creai ugualmente da solo un piano di riscontro che in seguito tutti mi invidiarono, lo realizzai utilizzando un pezzo di un’autoblinda tedesca che durante la guerra era rimasta incidentata presso casa mia. Portai a casa la lamiera e con un goniometro prestatomi da mio cucino Germano che frequentava studi scientifici iniziai a tracciare un modello di telaio. Apportai così una importante novità rispetto al metodo di mio padre, il mio merito fu infatti quello di progettare il telaio in base all’inclinazione de quindi all’ampiezza delle angolature, che pur lasciando inalterate le misure di lunghezza consentono di plasmare a piacimento la posizione in sella del corridore. Con questo stratagemma riuscivo a valorizzare al meglio le attitudini di ognuno: portando il velocista a sfruttare ancor di più il proprio spunto veloce e lo scalatore a trarre il massimo da una posizione che gli consentisse la massima redditività nello scatto.
Ho avuto ordinazioni da tutto il mondo, da Stati Uniti, Giappone e tanti altri paesi, sapevo di essere valido nel mio lavoro ma ugualmente non ebbi il coraggio di provare ad ingrandirmi. Oltretutto, negli anni ’50 il mercato della bicicletta registro una vera e propria involuzione per l’avvento del motorino.” (1).
IL SALOTTODELLE DUE RUOTE
Vito Ortelli: Grazie alla mie imprese agonistiche la bottega Ortelli, già frequentata da parecchi appassionati del mondo delle corse, divenne più non solo un ritrovo per gli amanti della bicicletta ma una sorta di salotto per sportivi, addetti ai lavori e appassionati“
Nell’arco di sessant’anni nell’officina Ortelli sono usciti più di 5.000 telai e oltre agli amici di sempre come Servadei, Cinelli, Magni e Roncni passarono anche giovanissimi garzoni i quali una usciti da scuola Ortelli fecero poi cose importanti come Aride Rivoli che passo come meccanico alla Salvarani o Antonio Alpi che diventò un abilissimo artigiano.
Vito fu per lungo tempo amico anche di Giuseppe Ambrosini, giornalista e direttore della Gazzetta dello Sport nonché autore nel 1950 del famoso libro Prendi la bicicletta e vai, nel quale molti sono i suggerimenti di Ortelli per le pagine su geometrie e misure dei telaio.
Tante le tante amicizie nate negli anni eroici delle corse e continuate nei decenni successivi, quella con Cino Cinelli è stata forse la più intensa, si conobbero quando correvano insieme alla Bianchi e continuarono a frequentarsi e a collaborare fino alla scomparsa di quest’ultimo nel 2001.
Entrambi entrarono nel mercato delle biciclette al ritiro dalle competizioni sportive, con la stessa passione e visione innovativa ma con approcci molto diversi. Cino mosso da un autentico spirito imprenditoriale, supportato dai fratelli e in particolare dall’esperienza nel commercio a livello internazionale della moglie era destinato a costruire una grande azienda.
Cino prendeva molto sul serio i consigli tecnici di Vito e lo consultava spesso sui temi più importanti che riguardavano la costruzione del telaio. Le congiunzioni in ghisa malleabile prodotte dalla Fisher spesso le ordinavano insieme, anche perchè il quantitativo minimo era di 400 pezzi e Ortelli non produceva più di 100 telai all’anno. Oggi non è raro trovare nelle bici di Ortelli le stesse congiunzioni e componenti che usava in esclusiva la Cinelli, come i famosi forcellini posteriori con la vite passante usati per il modello Super Corsa.
Anche Tullio Campagnolo ebbe con Ortelli una lunga collaborazione, cominciata quando nel 1939 Lazzaro montò sulla bici di Vito il primo cambio Campagnolo, anche se non era allora molto diffuso. Quell’anno Vito vinse 7 gare e il titolo di Campione Italiano Allievi consentendo a Tullio Campagnolo di ricevere il suo primo riconoscimento agonistico. Da allora Ortelli ha sempre montato componenti Campagnolo, fiducia che Tullio ricambiò sempre come quando gli reglò 100 gruppi per il titolo di Campione Italiano su strada del 1948 o con forti sconti sugli ordini dell’officina negli anni a seguire.
Ortelli ha sempre dedicato grande attenzione anche ai dettagli estetici, come il disegno dei suoi bellissimi fregi, l’invenzione del marchio in rilievo sul tubo diagonale (ripresa poi dal giovane garzone Antonio Alpi) e le elaborate pantografie su telai e componenti, vere e proprie sculture in acciaio che affidava ad artisti come il verniciatore Leoni e il maestro incisore Gino Cornazzani.
Negli anni ’80, data l’età ormai avanzata, si fece aiutare nell’assemblaggio dei telai da Umberto Patelli di Bologna.
Vito smise di saldare quando terminò la scorta dei tubi.
LA BICICLETTACHE PESAVA 6.5 Kg
Nel 1946 Ortelli da vincitore del Gran Premio di Nizza può recarsi a fine gara in visita nelle officine del costruttore Urago, italiano emigrato in Francia. Qui la sua attenzione cade su un paio pedivelle in alluminio a quel tempo non prodotte in Italia e una campionatura di tubi Vitus del 1939 con uno spessore di appena 3/10, mai visti prima e ancora oggi mai più costruiti.
Ortelli riesce a convincere Urago a dargli le tubazioni che porta con se a Faneza per costruirsi una bici da crono che, una volta finita e montata, pesa solo 6,5kg mentre il telaio nudo 1,450 kg. L’intenzione è quella di usarla per battere il record dell’ora di Coppi ma purtroppo il tentativo non verrà mai effettuato.
Pochi anni più tardi il danese Ritter gli chiede il telaio per tentare lui di battere il record e Ortelli acconsente a condizione che sul telaio rimanga visibile il proprio nome ma, essendo Ritter nella squadra Coppi Fiorelli, l’accordo sfuma.
L’abilità di Ortelli come costruttore diventò sempre più nota nel settore e a lui si rivolse anche Proietti, D.S. del corridore Baldini, per alleggerire il peso della bici da usare nella crono del Gran Premio di Forlì in programma per il giorno seguente. Ortelli da esperto costruttore sapeva bene che è molto più importante alleggerire le parti rotanti piuttosto che il telaio e gli montò una coppia di cerchi a 36 raggi Scheeren, almeno 280 gr più leggeri di quelli a 40 già montati sulla bici. Il giorno dopo Baldini vinse la gara.
IL BINDADEI DILETTANTI
Ortelli, atleta possente e completo, tanto nelle salite quanto negli sprint, solo problemi di salute e oscure forze contrarie poterono impedirgli di divenire un Campionissimo. A 10 anni, con una bici costruita dal padre ma senza freni e cambio Vito andava seguiva i coetanei corridori, riuscendo a staccarli in salita.
La carriera di campione cominciò nel 1938 quando, superata la diffidenza del padre, si schiera nelle file della Faenza Sportiva con la quale subito mostrò tutta la sua forza con due vittorie e undici piazzamenti. L’anno successivo intensificò la preparazione fisica e il padre gli montò sulla bici il primo cambio Campagnolo nonostante fosse ancora poco diffuso, vinse 7 gare e titolo di campione italiano. Tullio Campagnolo riscosse quindi il suo primo riconoscimento agonistico insieme a Ortelli.
Nel 1940, passato ai dilettanti sempre con la Faenza Sportiva, vince 14 corse su 17, sgretolando la resistenza degli avversari arrivando undici volte solo al traguardo. Grazie a questi successi il commissario tecnico Alfredo Binda gli assegna il soprannome Binda dei dilettanti. A Chiasso si corre per selezionare gli azzurri per le Olimpiadi di Tokyo e Ortelli si impone con un distacco di 6 minuti sul secondo, ma le Olimpiadi saltano a causa della guerra. Nello stesso anno un’impresa ancora ineguagliata: Ortelli e Magni vengono convocati, alla gara a coppie di apertura del Giro della Provincia di Milano, è una gara per soli professionisti e Magni e Ortelli sono gli unici dilettanti ammessi e vincono sia le due gare su pista che la cronometro classificandosi primi assoluti, in gara c’erano campioni come Coppi e Bartali, il quale non prende bene la sconfitta.
La notorietà di Ortelli cresce e, nonostante ancora corra per la Faenza Sportiva, la Bianchi gli concede in uso una loro bicicletta.
Nel 1941, a guerra ormai alle porte, Ortelli pass alla A.S. Forlì, dove nonostante il servizio militare, vince 12 gare tra cui le Coppa Stupazzini, Malatesta, Paolucci, Girolomi, Coppa Figli del Duce, Pasini e Arcangeli ed il prestigiosissimo Astico Brenta.
Nel 1942 la Bianchi gli offre la maglia da Indipendente per il Giro d’Italia, ai dilettanti però è vietato dal regolamento ricevere denaro e la cosa viene scoperta dalla Federazione (a detta di Ortelli in realtà era già tutto pianificato dalla Bianchi per farlo diventare professionista) che lo costringe di conseguenza a passare di categoria.
Esordisce quindi a vent’anni come professionista indipendente per la Bianchi, nel 1942 al Giro d’Italia le maglie maglie in palio sono due: Maglia Rosa per i professionisti e Maglia Bianca per gli indipendenti fra i quali Ortelli.
La prima tappa la vince Leoni, Ortelli essendo indipendente non può partecipare ma vince la terza tappa del Giro di Toscana con 2.33″su Bartali. Dopo la terribile corsa gli amici Vicini e Servadei, come era loro abitudine fare di solito, costringono Ortelli a tornare con loro a casa in bicicletta.
Dopo questa vittoria la commissione tecnica passa Ortelli a professionista togliendogli la Maglia Bianca senza però dargli la Maglia Rosa a scapito del più rinomato Leoni, le proteste di Ortelli cadono nel vuoto e finirà il Giro ottavo in classifica.
Nel 1943 il giro d’Italia venne interrotto dopo solo quattro gare e la Maglia Rosa venne assegnata a Servadei, Ortelli vince, in coppia con Cino Cinelli il GP Enrico Villa davanti al pubblico del Vigorelli. Dal 20 settembre arriva lo stop da Roma a tutte le competizioni e molti corridori vengono inviati al fronte, Ortelli viene spedito in Croazia a Kocevja, Coppi in Africa. Dopo la resa di Badoglio Ortelli fugge dall’esercito e dai rastrellamenti, una volta tornato a casa collabora con la Resistenza sistemando le armi del gruppo di Silivo Corbari.
Finita la guerra, Coppi sceglie di correre con la Bianchi, Bartali con la Legnano mentre Ortelli lascia la Bianchi per la Benotto, ed è subito sfida con i due rivali: Ortelli vince in Toscana battendo Bartali nel circuito di Galluzzo e alla Milano-Torino dove arriva prima staccando anche Coppi.
Alla semifinale del campionato italiano di inseguimento su pista del 1945 all’Autovelodromo di Torino, nonostante il lungo viaggio seduto su un camion per il trasporto di maiali, Ortelli vince staccando Coppi di oltre 60 metri, al tempo di record: 6’23” e alla media di 46,600 km/h, in finale batte facilmente Leoni laureandosi campione italiano su pista.
Al velodromo Pacciarelli di Fiorenzuola vince anche la sfida successiva con Coppi, sempre nell’inseguimento su pista.
Con i soldi guadagnati nelle corse Ortelli aiuta il padre a ricostruire l’officina distrutta dai bombardamenti, il quale nel frattempo continua a lavorare in una bottega di fortuna.
Nel 1946, quando già i problemi fisici cominciano ad emergere, bissa il successo della Milano Torino, vince il Trofeo XX Settembre e una tappa del suo primo Giro d’Italia, nel quale arriva terzo dietro a Bartali e Coppi, vestendo per 5 volte la Maglia Rosa, Giro che probabilmente avrebbe vinto se non fosse stato per una lista infinita di avversità tra cui: sassi e fucilate da parte degli attivisti anti-italiani sloveni, una forte pertosse che lo tormentò per due terzi del Giro e una combina organizzata contro di lui dal suo direttore sportivo Graglia.
Un anno dopo, davanti ad un Vigorelli tutto esaurito con 15.000 tifosi in tribuna e 2.000 sul prato, è ancora sfida diretta con il Campionissimo Coppi nella finale di inseguimento su pista e ancora una vittoria di Ortelli, che bissa così il titolo di campione italiano su pista.
Dal 1947, passa alla Atala, con la quale nonostante i problemi fisici e un intervento alla gamba si fossero aggravati, ottenne il 2° posto al campionato italiano su strada, dietro a Coppi, e vince sia il Giro del Piemonte davanti a Ronconi e Vicini, costituendo un podio tutto romagnolo, che il GP Città di Milano.
Nel 1948 vince sia al GP di Romagna che il GP di Milano mentre al Giro d’Italia manca il podio di pochissimo classificandosi al 3°posto nonostante 7 forature in una solo tappa e una grave caduta causata da un tifoso che lo colpisce con un secchio d’acqua facendolo rovinare a terra, finisce il Giro con lo stesso tempo di Cottur che però avendo indossato la maglia rosa per 3 giornate in più si prende il podio.
Sempre nel 1948 l’ultimo acuto ma il più prestigioso, Ortelli dopo l’ennesimo duello con il rivale Coppi conquista il titolo di campione italiano su strada. Il titolo vale la possibilità di partecipare al Mondiale ma è l’anno del ritiro di Coppi e Bartali che finisce per danneggiare Ortelli il quale nonostante abbia la forma fisica sufficiente per stare alla ruota del belga Schotte, che poi vinse il titolo, rimane indietro perdendo tempo nell’attesa delle disposizioni dei due “capitani”, finendo purtroppo solo 8°.
Quell’anno Tullio Campagnolo, dopo la vittoria del tricolore, gli regala 100 gruppi del suo cambio per premiare quella fedeltà che Ortelli gli ha sempre dimostrato fin da ragazzo.
Dal ’49 in poi il declino agonistico a causa dell’aggravarsi dei problemi fisici al ginocchio destro, fino al ritiro nel 1952 con tanti rimpianti per il campione che poteva essere e che non fu ma con tante storie di successi, coraggio e amicizia da raccontare una volta tornato a casa.
Con i suoi suoi allievi giovanissimi della S.C. Faentina Ortelli ha sempre insistito sull’importanza dell’allenamento in pista. insegnandogli prima di tutto a stare in equilibrio con i piedi sui pedali al semaforo.
Fu infatti uno dei pochi a capire il valore dei velodromi la formazione degli atleti, visione isolata dato che in Italia sono stati chiusi e lasciati alla rovina mentre paesi come Inghilterra, Francia e Australia sono emersi nelle grandi competizioni con campioni che vengono proprio dalla pista. A quasi 90 anni ancora seguiva i giovanissimi della S.C. Faentina offrendo tanti preziosi consigli ai futuri campioni.