Diego Vitali / Biciclette su misura / Russi (Ravenna), Italia / 1974 – fine anni ’90
Ha collaborato con: Colnago, Chiorda, G.S. Salvarani, Martini Lugo
Fonti: Federico Vitali, intervista / “Bici come prima” Il foglio, 2008 di Piero Vietti / “Viaggio di studio”, 2009 Lucaconti.blogspot.it
Lungo la via Emilia, da Piacenza a Rimini, sono tanti i nomi famosi che hanno fatto shopping di idee e talenti nelle piccole officine dei maghi dell’acciaio, Cino Cinelli, Francesco Moser, De Rosa, Tullio Campagnolo, Shimano, Ernesto Colnago, solo per nominarne alcuni.
Colnago, geniale imprenditore, in particolare fu capace di recepire, e interpretare in scala industriale, le migliori intuizioni e scovare i più talentuosi artigiani per dare forma a quelle innovazioni tecniche che hanno reso il suo marchio famoso nel mondo, tra le sue “scoperte” i fratelli Gozzi (Rauler) di Reggio Emilia per l’ideazione delle congiunzioni dell’Arabesque, Lino Messori di Modena per i primi tubi piegati (a mano), Martini di Lugo per nuove tecniche di verniciatura, la Ferrari per i nuovi materiali sintetici, fino ad inaugurare a Bologna un marchio parallelo: Colner.
All’occhio infallibile di Ernesto non potevano quindi sfuggire le capacità di Diego Vitali,anche se nascoste in una piccola bottega di Russi, piccolo paese della Romagna tra Ravenna e Lugo.
Il costruttore romagnolo riassumeva infatti tutte le qualità e le capacità dei migliori costruttori artigiani nell’era delle bici in acciaio, passione, competenza, pensiero laterale, ricerca continua della perfezione e dell’innovazione in ogni dettaglio, compresa l’inossidabile volontà di rimanere l’unico autore delle proprie creazioni, rifiutando così di delegare a terzi ogni tipo di produzione, e di fatto, anche ogni possibilità di allargamento dalla dimensione artigiana a quella industriale.
Come anche Marastoni a Reggio Emilia, era capace di stare con la schiena piegata sul telaio con la lima per giorni, fino alla perfezione di congiunzione, ogni dettaglio, forse proprio per questo nella seconda metà degli anni ’80, Colnago gli affidò il delicato compito di costruire due prototipi in acciaio di un modello sperimentale, la Carbitubo, paradossalmente proprio il tipo di innovazione che portò da lì a poco al precipitoso declino delle bici in acciaio.
Oggi come ieri, ma ancora di più a quei tempi, per un piccolo artigiano in un piccolo paese di provincia, ogni nuova commissione era vitale per mantenere lavoro e famiglia, ma per artigiani come Vitali era a volte anche l’agognata possibilità di iniziare una nuova sfida. Nella costruzione di ogni telaio, quando il cliente era consenziente, immaginava e metteva in pratica sempre qualcosa di nuovo, per andare oltre al già fatto, per la bici più reattiva, leggera, veloce, moderna. Un approccio incompatibile con la produzione in serie, anche se di altissimo livello, di marchi ben più famosi.
Vitali: “Per fare le angolazioni di un telaio bisogna tenere presente che i corridori stanno sui pedali non sulla sella, questa al massimo la si accarezza, se ti metti a sedere… è finita.”
Diego Vitali, nasce a Russi nel 1924, già da piccolissimo è animato dalla passione per velocità e bicicletta, ma oltre a usarle vuole anche costruirle, appena finite le elementari comincia quindi a lavorare come garzone presso un officina meccanica del paese, dove in pochi anni riesce a costruire il suo primo telaio.
Compiuti i diciotto anni viene arruolato nell’esercito e mandato al fronte dove è fatto prigioniero per due anni dall’esercito tedesco, nel campo impara a saldare ma le condizioni sono molto difficili. Finita la guerra torna al suo paese natale ma è malato, il suo fisico non è in grado di lavorare; dovrà attendere tre anni di riposo e cure prima di poter tornare in officina.
Nel ’68 Luciano Pezzi lo chiama come meccanico alla Salvarani/Chiorda dove rimane fino al ’73 per costruire tutti i telai della squadra di Felice Gimondi, seguendola come meccanico in tutte le gare più importanti, Giro, Tour, Parigi-Rubaix, Fiandre.
Nel ’73, quando la Salvarani chiude, sull’onda anche della reputazione acquisita Vitali acquista l’attrezzatura necessaria e apre a Russi la propria bottega artigiana per la costruzione di biciclette da corsa. Dalla sua prima bicicletta costruita a 11 anni, e fino alla fine della sua carriera di artigiano, Diego Vitali ne ha costruite 3.000, tutte da solo, tutte a mano, tutte perfette e ognuna con una propria anima.
Oltre alla cura maniacale del dettaglio una delle caratteristiche dei suoi telai sono le geometrie molto aggressive. Costruiti con una maschera di riscontro da lui disegnata, i telai avevano il carro posteriore molto corto e la forcella quasi verticale per essere più reattivi e scattanti, per questo erano richiesti dai corridori anche se non esattamente alla portata delle capacità di tutti.
Tale era la sua attenzione al dettaglio che arrivò a richiedere a Martini di Lugo di preparargli una vernice più sottile per rendere il telaio più leggero.
Vitali: “Questo mestiere è mi ha dato tante soddisfazioni e nonostante la fatica fosse tanta mi son divertito. La gente veniva qua, io gli prendevo le misure e gli facevo la bicicletta. Certe volte si stava a discutere per uno o due millimetri di differenza: perché se sbagli anche solo di un millimetro è tutto da rifare.
Tutte le bici che ho fatto le facevo come se fossero per me, quindi dovevano essere perfette. Sono stato appassionato da sempre, correvo anche, da giovane: questa passione ha sempre fatto sì che la fatica fosse in secondo piano. Oggi a mano le bici non si possono più fare, quelle che fanno in serie vanno benissimo. Il problema però è la bicicletta deve avere un’Anima.”
Nonostante mezzi e strumenti artigianali, spesso costruiti da solo, riuscì a sperimentare nuove soluzioni lungo tutta la sua carriera di costruttore, come prototipi di telai crono alleggeriti realizzati insieme al nonno di Alan Marangoni, ruote lenticolari realizzate con la tela delle vele per la nautica, o uno dei primi telai crono in acciaio interamente carenati come la “Spada” di Endurain, progetto poi tecnicamente realizzato ma abbandonato a causa del peso.
In diverse occasioni, passione condivisa e profondo legame affettivo, rendevano “cavie” privilegiate delle bici molto performanti e impegnative bici Vitali, i sui nipoti e in particolare Federico, dilettante per 10 anni e poi professionista, quando il nipote da piccolo era in adorazione per Bugno gli costruì una bici identica, con gli stessi colori e adesivi; poi quando l’attenzione si spostò sulla Colnago di Fondriest gliene fece una con gli stessi tubi schiacciati a forma di stella, ovviamente a mano perché non esistevano in quelle misure. Alla vigilia di una gara in pista per il campionato italiano Federico ruppe la bici e il nonno gliene costruì una (perfetta, ovviamente) lavorando per 3 giorni senza pause, il telaio era color argento metallizzato, l’unico colore disponibile dal verniciatore Mercedes del paese assoldato d’urgenza.
La reputazione di Vitali arrivò ben oltre i confini di Russi, molti i suoi clienti all’estero, in particolare da Germania e Lussembrugo, i quali si presentavano di persona nella sua officina per chiedergli “qualcosa di speciale”. Oltre alle bici in acciaio saldate con la tecnica della saldobrasatura fu uno dei primi artigiani in Italia a saldare con la tecnica a TIG, costruendo splendidi telai, anche in alluminio.
Chiuse la bottega, come tutti i suoi colleghi rimasti ancora in attività, con l’arrivo del carbonio.
A novant’anni girava con una Graziella con mozzi Campagnolo Super Record e purtroppo ci ha lasciato quest’anno (2017). La famiglia, i tanti amici ed estimatori mantengono viva l’anima dell’uomo e delle sue bici.