COLNER
COLNER
San Lazzaro di Savena (BO) 1976 – 2002?
Fonti: Reclus Gozzi (Rauler) / Troppebici / Classic Randezvous / Giroditaliadepoca /
La cicli Colner (COLNago + ERnesto) nasce ufficialmente nel 1974, produzione dei telai e distribuzione delle biciclette complete venne affidata alla Velosport, di San Lazzaro di Savena in provincia di Bologna. Il nuovo marchio dava a Ernesto Colnago la possibilità di correre con due squadre contemporaneamente, dal 1974 l’UCI permise infatti la possibilità di iscrivere una sola squadra di professionisti per marchio. Il modello di business era invece quello di una linea biciclette di livello medio alto con una produzione completamente indipendente dalla Colnago, da inserire sul mercato ad un prezzo leggermente più basso e con una diversa distribuzione, in particolare nelle regioni del sud Italia.
Le Colner, contraddistinte dal simbolo dell’Asso di Picche raggiunsero presto un notevole successo commerciale, tanto che Mario Martini di Lugo ne verniciò 700 solo nel primo anno. Le bici, costruite con tubi Columbus SL ed equipaggiate con gruppi Campagnolo, erano di alto livello, molto simili alle cugine Super della Colnago e, in alcuni casi, anche più leggere, questo almeno nei primi anni di produzione. Probabilmente il progetto fu messo in cantiere da Colnago già uno o due anni prima, sono conosciuti infatti dei telai costruiti antecedentemente al 1974 già con l’asso di picche pantografato insieme al trifoglio Colnago, dopo la presentazione ufficiale del marchio i due simboli non furono mai più affiancati sullo stesso telaio.
Colner speciali Squadra Corse
Oltre alle bici di serie, costruite ed assemblate esternamente alla Colnago da artigiani come Romani di Parma, Technotube e Simoncini, la Colner offriva anche bici su misura per diverse squadre, come la belga Usboerke-Colner nel’74/75 e l’italiana Vibor nel ’77/78, per la quale correvano l’allora esordiente Visentini, come pure Boifava e Panizza.
Questi telai speciali erano costruiti e assemblati dalle esperte mani dei Fratelli Gozzi (Rauler) di Reggio Emilia e da Lupo Mascheroni.
Graeme Gilmore con maglia Squadra Usboerke-Colner e bici Colner, i dettagli delle congiuzioni ricordano quelle di produzione Gilardi
"My bike builder was Lupo Mascheroni from Milan - he built all Patrick Sercu’s bikes as well. He set up & kept a jig for my bikes - so I would just ring him & he would make the same all the time - my Sixday bikes were made more like a sprinters bike with the seat angle steeper than a “normal” 6 bike ! Which suited me better as I only rode 50mm behind the bracket! Forgot the degrees now ! But I rode the same shape bikes in over 100 sixes ! Lupo just changed the decals & paint job on the frame to match the bike sponsor from the team I was riding that year !"
— Graeme Gilmore
Squadra Usboerke Colner, 1975
Robert Bill su bici Colner, medaglia d’oro nell’inseguimento a squadre alle Olimpiadi di Mosca del 1980
Prime decals Colner, firmate con marchio Colnago.
Le primissime Colner mantengono il simbolo Colnago sotto alla scatola del movimento centrale.
Il simbolo Colner forato nella scatola del movimento centrale.
Colner strada anni ’70 / Foto Ciclicorsa
Colner pista anni ’70
Colner 1973 per Eddy Merckx. Sul telaio, costruito per la squadra corse Molteni, sono visibili sia gli Assi di Picche sulle congiunzioni e sulla testa forcella, sia l’Asso di Fiori Colnago sulla scatola del movimento centrale. Foto Simone d’Urbino.
DOSI
DOSI
Imola (BO) 1979 – In attività
Walter Dosi, classe 1954, corridore nella categoria dilettanti fino al 1975 per la Giacomazzi è stato meccanico e saldatore per diversi team tra i quali Giacobazzi, Fiorelli, Fancucine e Magniflex.
Nel 1979 apre l’officina a Imola nella quale ha costruito per un ventennio raffinatissimi telai come il Futura, realizzato da Dosi a metà anni ’80 con speciali tubi disegnati da Luciano Paletti di Modena e prodotti dalla ORIA con una particolare forma schiacciata, sono infatti questi gli anni delle prime sperimentazioni sul design delle tubazioni per irrigidire e rendere più reattivi i telai delle bici.
Gli stessi tubi furono usati anche da Luciano Paletti nel suo modello Meteor strada e pista, il quale si distingue dal Futura per la marca di forcellini e congiunzioni, Silva per Paletti, Cinelli per Dosi.
Nel biennio ’90 e ’91 Walter è stato meccanico e saldatore della Giacobazzi, nel team c’era anche il giovane Pantani, il quale corse il Giro d’Italia dilettanti del 1991 in sella ad una bici Dosi.
I primi campioni del modello Futura ebbero dei problemi crepandosi vicino alla scatola del movimento centrale, Walter intervenne quindi sul design della piegatura dei tubi migliorandone anche l’estetica. Il Futura è rimasto in produzione fino al 1993.
Frutto della collaborazione con il maestro verniciatore Mario Martini di Lugo, le livree Dosi sono tra le più belle e originali degli anni ’70 e ’80.
La grafica delle livree esce dalla tradizione del tempo con un linguaggio fatto di segni astratti e tinte sfumate, mescolando stilemi derivati dall’estetica urbana e della moda anni ’80. Visitare l’officina Dosi in quegli anni era come entrare in una galleria d’arte contemporanea.
A inizio anni ’90 Dosi ha affidato la costruzione dei suoi telai all’amico Reclus Gozzi (Rauler) di Reggio Emilia. Oggi lavora insieme al figlio, anche lui ex dilettante, nel proprio negozio-officina dove oltre alla vendita di bici e accessori offrono un servizio di consulenza e assistenza di altissimo livello, basato sulla grande esperienza di tecnica del padre e la padronanza del figlio nelle nuove tecnologie.
Dosi Pista
Le livree Dosi by Mario Martini
MARASTONI
MARASTONI
Reggio Emilia 1922 – 2015
La versione aggiornata è disponibile su Quaderni Eroici / Get the complete version on Quaderni Eroici.
Fonti: interviste a Licinio Marastoni, Classic Randezvous, Paramanubrio, Ferri vecchi, Bici classiche, Stefano Camellini, Alessandro Marconi
Ha collaborato con: Campagnolo / Cinelli / De Rosa / Moser / Rauler / Paletti / Gimondi, Coppi
Nato il 15 giugno 1922, per qualità, innovazione e creatività, fu uno dei migliori e longevi costruttori italiani di biciclette da corsa dell’epoca Eroica. Oggi tra gli appassionati di tutto il mondo il suo nome è una leggenda e dagli Stati Uniti al Giappone sono dedicati diversi fan club alla sua memoria. Buon corridore, meticoloso tealista a tal punto che la sua officina veniva chiamata dai concittadini “La Farmacia”, fu meccanico per 8 anni al giro d’Italia e lavorò per campioni come Coppi, Bartali, Magni, Baldini, Adorni, Bitossi e Moser. Le sue invenzioni hanno dato un significativo contributo all’evoluzione del design della bicicletta da competizione. La sua inesauribile creatività nasceva dal semplice ed inesauribile amore la bicicletta e, nonostante il successo e la fama del suo lavoro nell’arco di ottant’anni di carriera, fu l’unico tra i grandi maestri della sua epoca a scegliere di mantenere una dimensione artigianale. Curava ogni dettaglio con estrema precisione e la creazione di un telaio richiedeva fino a tre giorni di lavoro manuale, di fatto un approccio incompatibile con tempi e logiche commerciali della produzione industriale. Tullio Campagnolo stesso, che di innovazione ne sapeva qualcosa, ebbe una grande stima per Marastoni e usava spesso recarsi nella sua officna per scoprire le nuove idee del maestro, così come erano di casa anche altri grandi protagonisti come DeRosa, Masi, Cinelli e i fratelli Shimano. Continuò a lavorare in officina fino al 1991, all’età di 87 anni, di cui 80 di carriera. Come altri costruttori di questa generazione, ha lasciato un ricordo indelebile per genio creativo e grande umiltà, due qualità oggi molto difficili da ritrovare.
1920-1960
Licinio ereditò la passione dal padre ciclista e già da piccolissimo la bicicletta lo appassionava a tal punto da preferire smontare le biciclette dei grandi piuttosto che giocare con i coetanei. A 7 anni si esercitava nell’officina di un meccanico del paese e a 11 lasciò la scuola per lavorare come apprendista presso l’officina di Grasselli, il quale, vista la grande passione del ragazzo, non chiese nulla in cambio nonostante al tempo fosse comune pagare il periodo di apprendistato. Ad appena 17 anni scelse definitavamente la carriera di artigiano preferendola a quella più sicura di prete pianificata dai genitori, i quali impegnando la preziosa macchina da cucire, offrirono le 6.000 Lire necessarie per acquistare l’attrezzatura. Fu così che ancora minorenne anni Licinio aprì la sua officina con l’amico, appena dodicenne, Marco Mazzoni. I clienti vedendo Licinio cosi giovane gli chiedevano dove fosse il titolare e lui rispondeva che il titolare era fuori e sarebbe tornato presto, intanto si faceva lasciare la bici da riparare. A quella età Licinio non poteva firmare le bici a suo nome, fu così che nacque il marchio “Sprinter” con il disegno del Sole dell’Avvenire, simbolo che verrà poi ripreso due anni dopo nel primo fregio firmato Marastoni. Un anno dopo andò in guerra, fuggì dalla prigionia e tornò a piedi dall’Austria a Reggio Emilia, dove riprese a lavore. Nel 1946, tra rovine le rovine della seconda guerra mondiale, le ristrettezze economiche costrinsero Marastoni a cercare un nuovo socio con cui riaprire l’officina e lo trovò solo due anni dopo in Ferdinando Grasselli, proprio colui che per primo gli aveva dato fiducia. Nacque così La Cicli Grasselli – Marastoni che rimarrà attiva fino al ritiro di Grasselli nel 1960. Le bici di questo periodo sono riconoscibili per il famoso color verde Marastoni e tre strisce blu scuro delimitate da filetti bianchi sui tre tubi, la scritta “Marastoni” è in carattere corsivo di colore bianco. Nel 1967 Ercole Baldini gli commissionò le biciclette per la squadra Salamini Luxor, di cui era il direttore sportivo, tra i corridori il campione del mondo Adorni.
«Perchè venite da me quando a Bologna avete il maestro Marastoni?»
— Faliero Masi
IL VERDE MARASTONI
Una delle caratteristiche che rendono riconoscibili i telai di Marastoni è il particolare colore verde. In realtà fu un’intuizione nata in modo completamente casuale, Negli anni ’40, all’inizio della sua carriera di costruttore, Licitino era alla ricerca di un colore che gli permettesse di distinguere a colpo d’occhio le sue biciclette dai diretti concorrenti di Reggio Emilia e delle città vicine. L’intuizione arrivò durante una passeggiata lungo il fiume dove trovò un ramarro che lo colpì per la particolare tonalità di colore verde brillante, lo mise in una scatola e lo portò direttamnte al verniciatore chiedendogli preparagli esattamente lo stesso punto di verde.
1961-1991
Alla fine degli anni ‘60 dall’officina uscivano bici su misura per grandi campioni come Gimondi e Fausto Coppi, Licinio condivideva passione e lavoro con il suo unico figlio Marco di dieci anni. Nel ‘69 l’idea che cambiò tutto: in officina si presentò l’amico Renzo Landi, rivenditore di impianti a gas, Licinio notò su una bombola dell’ossigeno una particolare valvola realizzata in microfusione e, primo nella storia, ebbe l’idea di usare questa tecnologia per produrre congiunzioni e teste delle forcella per i suoi telai. I primi esperimenti ebbero esito più che soddisfacente ma, essendo una tecnologia industriale, per fare ulteriori test era necessario ordinarne un quantitativo di pezzi troppo elevato.
Nel 1971, su insistenza di Cino Cinelli, Marastoni decise quindi di rischiare tutti i risparmi investendo nella commissione, all’azienda “Microfusione Italiana”, di una intera serie da testare.
Oltre a Cinelli, l’esperimento attirò da subito l’attenzione anche quella di altri maestri come Masi, DeRosa e Colnago i quali a più riprese visitarono l’officina per osservare la nuova invenzione. In realtà Marastoni e Cinelli condividevano reciproca stima e scambio di idee (come la forma abbassata della testa della forcella o l’attacco “fastback” dei forcellini posteriori realizzato dalla Georg Fischer) già dalla prima metà degli anni ‘60. Fu sempre Cinelli, nel 1971, a convinvere Licinio ad accompagnarlo alla Fiera del Ciclo di milano per mostrare i prototipi in microfusione ad alcuni clienti selezionati, nell’ottica di brevettarle e produrle insieme in scala industriale. Nacque così un accordo tra Cino e Licinio con un utile per il secondo del 10% sui ricavi. La fama delle innovazioni di Marastoni si diffuse velocemente nell’ambiente e inevitabilmente i clienti aumentarono sia in italia che da paesei come Giappone, Germania e Svizzera, per avere un telaio Marastoni (solo 1,8 kg!) nonostante fosse necessaria un attesa anche dieci mesi. A quel tempo in officina oltre a Licinio e figlio, lavoravano a tempo pieno anche due artigiani per aiutare nelle accurate lavorazioni di taglio, saldatura e limatura dei telai, lavoro che richiedeva fino a 3 giorni, un tempo decisamente più lungo rispetto alla media dell’epoca.
«Non ho mai registrato brevetti, a me interessava solo costruire biciclette»
— Licinio Marastoni
Nel 1972 il figlio Marco, promettente ciclista dilettante, partì in auto verso Milano per scegliere con Cino Cinelli il capannone che avrebbe ospitato la produzione industriale delle nuove congiunzioni in microfusione. Durante il viaggio la tragedia, Marco fu coinvolto in un incidente stradale e perse la vita. Il lutto per Licinio fu evastante, lasciò il lavoro e chiuse l’officina.
Amici, colleghi e ammiratori si strinsero da subito intorno alla famiglia, sostenendola ogni giorno con una infinita dimostrazione di affetto, fino a che, a ormai un anno dall’incidente, Licinio riusci a trovare la forza di ricominciare. Da quel momento in poi Marastoni creò le sue bici specialissime, destinate esclusivamente a clienti di cui aveva totale rispetto, firmandole con decals con il nome del figlio scomparso, per il quale nel 1973 organizzò anche una speciale corsa, la “Memorial Marastoni”, la cui ultima edizione si tenne nel 1996. Tra i sostenitori più vicini a Marastoni vi fu anche Francesco Moser con il quale poi Licinio instaurò un rapporto di grande stima e collaborazione destinato a durare per molti anni. A dieci anni di distanza dal ritorno di Licinoi in officina, Moser gli chiese di costruire le sue biciclette da corsa. Licinio accettò l’incarico ma si dovette ritirare appena emersero con forza le logiche commerciali della grande industria, non compatibili con il livello di qualità, cura e tempi necessari al suo metodo di lavoro. Il progetto quindi si fermò ma non l’amicizia e la collaborazione tra i due, nel 1984 Marastoni costruì a Moser la bici con la quale vinse il Giro d’Italia, il telaio era studiato sulle caratteristiche fisiche del campione e disegnato per permettergli una pedalata più arretrata in grado di esprimere tutta la sua potenza.
Licinio Marastoni ci ha lasciati nel dicembre 2015.
L'OFFERTA SHIMANO
«Nel 1966-67, vennero da me i dirigenti giapponesi della Shimano, e mi dissero che se montavo i loro prodotti me li davano con lo sconto al 50%. Chiamai Campagnolo dal quale acquistavo con il 16%, quasi come tutti, salvo Chierici che aveva il 20%. Campagnolo mi sconsigliò accettare l’offerta Shimano e tirando fuori le fatture di grossi marchi come Bianchi a cui vendevano con il 28%, lo offrirono anche a me e accettai. Poi ero io a rivendere al 18% agli altri che venivano da me invece che rivolgersi direttamente in azienda. Fu una soddisfazione».
Intervista a Licinio Marastoni, novembre 2010
IL DESIGN DEI TELAI MARASTONI
Nell’arco della sua carriera Marastoni ha realizzato importanti innovazioni portando un fondamentale contributo all’evoluzione del design del telaio delle bici da corsa in acciaio. Queste idee non sono mai state tradotte da Marastoni in veri e propri brevetti, in quegli anni e in particolare nell’area tra Modena e Reggio Emilia, vi erano altri costruttori impegnati sulle medesime soluzioni, tra i quali vanno ricordati Luciano Paletti e Orazio Grenzi, entrambi di Modena. È impossibile oggi poter accertare se Marastoni sia stato il primo in assoluto a realizzare le invenzioni che lui stesso si è attribuito, ci limitiamo qui ad elencare quelle confermate da più autorevoli fonti.
FREGI MARASTONI
Il simbolo del Sole dell’Avvenire, molto caro a Marastoni, è presente come decal sul tubo sterzo già sulle prime “Sprinter” della fine degli anni ’30. Pochi anni dopo Marastoni inaugura decals a suo nome con un fregio in ottone senza il disegno del sole, probabilmente si trattava di un prodotto di serie già impostato e personalizzabile offerto dal fornitore. Il simbolo del sole ritorna comunque già nel fregio immediatamente successivo, insieme alla scritta Marastoni. Dalla fine degli anni ’40 viene data al fregio una forma più appuntita e originale, mentre dagli anni ‘60 presenta la “M” insieme allo stemma della città di Reggio Emilia.
NUMERAZIONE DEI TELAI
Marastoni annotava misure, colore, nome e misure del proprietario e numero di telaio di ogni sua bicicletta da lui costruita. Il numero seriale era inciso sotto alla scatola del movimento centrale, non in tutti i telai, ne sono privi infatti i telai di media gamma costruiti da terzisti. Purtroppo i suoi registri di Marastoni con tutte le informazioni sono andati dispersi dopo la sua scomparsa.
MARTINI
MARTINI
Lugo di Romagna 1927 – 2010
F.lli Martini / Verniciatura telai / Lugo (RA), Italy / 1972 – In attività
Fonti: intervista a Mario Martini / Articolo dal quotidiano “Sabato sera” di Lou Del Bello.
Ha collaborato con: Somec / Vicini / Colner / Ronchini / Adriatica / Egan / Dosi / Patelli / Sintesi, Brunetti / Cicli Faenza / EGAM (…).
Le biciclette da corsa italiane sono famose nel mondo per il design artigianale, la qualità delle tubazioni e dei componenti. Un altra capacità ci è sempre stata riconosciuta e invidiata è l’eleganza e l’originalità delle livree. Innovazione meccanica/telaistica e design in Italia sono infatti da sempre vestite con eleganti scelte grafiche. Tra i maestri che hanno dato vita alle verniciature più belle e originali nella storia della bicicletta il più originale e creativo è stato sicuramente Mario Martini di Lugo, il primo al mondo a donare ai telai la vernice sfumata rivoluzionando il modo di “vestire” le biciclette.
“L’idea nacque grazie ad un ragazzo di Ravenna che mi chiese di verniciare tutte le bici della squadra di cicloturisti con gli stessi colori della loro maglia. Era una cosa mai fatta prima, ma decisi di provare. Lavorai per tre intere notti, facendo e disfacendo finché non trovai che il lavoro era veramente perfetto. Al mattino del quarto giorno il telaio era una vera bellezza e il successo fu incredibile. Alla seguente fiera di Milano presentai tre modelli sfumati e tre disegnati, dopo dieci giorni i telefoni erano bollenti, non facevamo in tempo a raccogliere le ordinazioni. Purtroppo non avevamo strutturati per accontentare così tanti clienti, e da quel punto di vista perdemmo un treno perché poi molti si rivolsero altrove. Era il 1990 e da allora tutti i telai sfoggiarono ogni tipo di sfumatura.”
Lo stilista delle bici.
La carriera di Mario Martini, classe 1945 inizia alla fine degli anni ’60, diciottenne viene assunto come cromatore insieme al fratello Sergio alla Vertel di Lugo a cui viene affidata invece la verniciatura. Alcuni anni dopo la Vertel chiude e i due fratelli insieme ad altri colleghi uniscono le forze per dare vita ad una nuova azienda di verniciatura.
Nel 1972 fondano la F.lli Martini verniciatura e sabbiatura nella quale entra anche il terzo fratello Giovanni. I primi anni sono i più duri, oltre alla verniciatura di telai per l’Adriatica di Pesaro e le Graziella della EGAM di Forlì, eseguono anche lavori pesanti come la verniciatura di silos industriali.
Nella seconda metà degli anni ’70 le prime commissioni sulle bici da corsa da parte di Umberto Patelli di Bologna ed è subito successo, da quel momento in poi sfileranno da Martini gran parte dei costruttori della regione, alcuni anche da Padova, tra i tanti Paletti, Dosi, Adriatica, Vicini, Sintesi, Cicli Faenza, Ronchini, Colner e soprattutto la Somec. In un anno dalla F.lli Martini escono verniciati fino a 3.500 telai per biciclette da corsa.
Dei tre fratelli l’artista del colore è Mario, sempre alla continua ricerca di nuove soluzioni, per lui la sperimentazione (anche su damigiane di vetro) è abitudine quotidiana. Perfeziona nel tempo stili grafici inediti ed eleganti, mixando spruzzi astratti, sfumature di colore e forme geometriche che si intersecano in trasparenza, i suoi “pezzi” fanno storia e vengono imitati ancora oggi da piccole e grandi aziende, in Italia e all’estero.
“Prima si stende un fondo anticorrosione, poi carteggiato miniziusamente il telaio si passa alla verniciatura vera e propria, con lo smalto e infine si crea il disegno. Questa parte finale, quelal che crea la personalità del telaio, si fa con una piccola pistola a spruzzo: ci vuole la mano allenata, ma è in questa fase che scatta la scintilla della creatività! Quando si inizia, non c’è un’idea ben definita, l’insieme si precisa quasi da solo, ogni spruzzo di colore o effetto grafico ne suggerisce un altro, e alla fine il risultato e qualcosa di originale, sempre armonico. Bisogna però essere minuziosi se si sbaglia anche solo un dettaglio si deve ricominciare da capo, non è come una tela che si può cambiare se il risultato non piace“.
“Talvolta collaboro con artisti dell’aerografo, sono in grado di creare sul telaio dipinto da noi delle figure di grande effetto, come animali o fulmini, questi pezzi unici potevano costare fino a 1.500 euro.”
In quarant’anni di carriera Mario Martini ha elaborato un proprio linguaggio di texture e motivi grafici che ha generato un mondo di segni unico e inconfondibile. A 70 anni arrivato alla pensione si è ritirato dall’azienda, nonostante le sue opere siano ancora molto richieste in Italia e all’estero.
“Rispetto alle origini, però, anche qui il mercato è cambiato molto, e così l’indirizzo professionale, anni fa, la bicicletta era un oggetto prezioso, e quindi doveva essere ben rifinita, c’era l’attenzione per i dettagli, poi è finito tutto, non c’è più lo stimolo, adesso si spende poco, il commercio dall’oriente ha distrutto questo mercato e le grandi aziende verniciano automaticamente il loro prodotto per ridurre i costi.”
Intervista a Mario Martini / By Ciclismo Furioso
NERI E RENZO
NERI & RENZO
Cesena 1971 – In attività
Cicli Neri e Renzo / Biciclette su misura / Cesena, Italia / 1971 – ancora in attività
Ha collaborato con: Ernesto Colnago (MI), Marastoni (RE), Rauler – Fratelli Gozzi (RE)
Palmàres: Campione italiano Allievi UISP 1956, Trofeo Laigueglia 1964, primo classificato “Traguardi Volanti” Tour de France 1966
Fonti: intervista a Guido Neri
CAMPIONE, ARTIGIANO, TECNICO.
Nato a Cesena nel 1939, si trasferisce nel 1941 con la famiglia a Guastalla, nei pressi di Reggio Emilia terra di grande amore per il ciclismo e di maestri come Licinio Marastoni, dove il padre ha trovato impiego come agronomo presso una grande tenuta agricola della zona.
Come altri grandi artigiani anche nel caso di Neri l’avventura di costruttore di biciclette è stata preceduta dalla quella di ciclista professionista, nel suo caso però dobbiamo aggiungere una terza ulteriore carriera: quella di responsabile tecnico e meccanico.
CICLISTA professionista dal 1962 al 1970, campione italiano UISP nel 1956, ha corso per Torpado, San Pellegrino, SICS, Molteni e Max Meyer, con campioni del come Adorni, Dancelli, Eddy Merckx, Franco Bitossi, Arnaldo Pambianco, Rik Van Looy, Jaques Anquetil e Gianni Motta, tra i tanti successi i primi posti al Trofeo Laigueglia e nella classifica Traguardi Volanti al Tour de France del 1966, l’ultimo corridore italiano a fare il giro d’onore al Parco dei Principi, l’anno dopo il velodromo parigino fu demolito.
ARTIGIANO Al ritiro dall’agonismo nel 1971 la passione per la bici lo spinge ad aprire una sua officina/negozio a Cesena insieme al socio Renzo che ha l’esperienza tecnica necessaria. L’amicizia e il rapporto di collaborazione con i maestri Marastoni e Colnago nati durante la carriera professionistica continuano anche in questo ambito, Neri affida a loro e ai fratelli Gozzi (Rauler) la costruzione di tutti i suoi telai, che vengono poi cromati, verniciati e pantografi internamente. Oggi il negozio/officina è ancora un punto di riferimento per i ciclisti di Cesena e non solo, grazie alla gestione del figlio Alberto anche lui ex corridore e la sempre vigile supervisione di Guido.
TECNICO Oltre alla gestione del negozio Neri intraprende anche la carriera di consulente tecnico-meccanico che gli darà grandi soddisfazioni e la possibilità di girare il mondo. Tutto comincia con la pubblciità di una tra le prime agenzie di viaggi in Italia ad organizzare percorsi avventura in bici all’estero, Guido e si propone come meccanico e viene subito assunto, dal 1999 segue come consulente tecnico la nazionale paralimpica tedesca di HandBike, una delle prime al mondo per medaglie vinte, con la squadra parteciperà alle Olimpiadi di Sidney 2000, Atene 2004, Pechino 2008 e Londra 2012. Sempre come responsabile tecnico ha partecipato anche e al campionato del mondo del Canada del 2003 e alle Olimpiadi di Barcellona con la nazionale di San Marino.
CICLI NERI & RENZO
La Cicli Neri e Renzo apre nel 1971 a Cesena. Guido, ha dalla sua l’esperienza da corridore e, soprattutto, un importante rapporto di amicizia con due grandi maestri telaisti con cui ha collaborato durante la carriera, Ernesto Colnago e Licinio Marastoni.
La prima vera bici da corsa di Neri era una Corradini ma subito dopo il titolo di campione italiano allievi UISP nel 1956 Marastoni lo chiama per offrirgli una sua bici in cambio della sponsorizzazione, da quel momento nasce una lunga amicizia che durerà per decenni. Dal 1957 al 1961 Neri corre come dilettante con il GS. Burro Giglio ed è Marastoni a costruire i telai per tutta la squadra poi, passato a professionista, e fino al suo ritiro, continuerà a correre con i telai di Licitino, anche se ovviamente marchiati con le decals dei relativi team e sponsor. L’ultima bici che Neri chiese di costruire a Licinio era per se stesso e fu forse l’ultima costruita dal maestro artigiano prima della sua scomparsa nel dicembre del 2015.
Ernesto Colnago che conosceva bene Marastoni, al quale aveva carpito non pochi segreti del mestiere, entrò in contatto con Neri quando era meccanico alla Molteni dal 1964 al 1966 e gli fornì le congiunzioni per costruire i primi telai. Neri si rese conto presto che gestire un negozio e costruire telai sono due attività insieme molto impegnative per solo due persone, insieme al socio decisero quindi di affidare a costruttori esterni come Colnago e a Marastoni la produzione di tutti i telai, i quali venivano poi verniciati, cromati e pantografati internamente. Fu sempre tramite Marastoni che Neri conobbe i fratelli Gozzi (Rauler) di Reggio Emilia, i quali si unirono a questo dream team di “terzisti” d’eccellenza.
Neri e Renzo continuarono a produrre bici da corsa artigianali fino agli anni ’80 e Renzo si ritirò dall’attività nel 1993 ma il negozio continua la sua attività vendita e consulenza per i ciclisti di Cesena e non solo grazie alla gestione e al talento del figlio Alberto Neri, anche lui ex corridore professionista.
IL CAMPIONE
Anche per Guido vale la prassi che per correre devi prima di tutto convincere tuo padre. Per fortuna di Guido anche il papà è appassionato di ciclismo e finisce per cedere alle sue insistenze per l’undicesimo compleanno quando gli regala la prima bicicletta, acquistata con grandi sacrifici.
A sedici anni prova ad entrare nella Polisportiva Bagnolese ma i posti per la squadra di ciclismo sono tutti occupati e viene iscritto come pugile. Ben presto si rende conto, a proprie spese, che il pugilato non è lo sport che fa per lui, o almeno non può competere con la sua passione per la bicicletta. È inverno, fa freddo e viene buio presto ma Guido continua ad allenarsi nell’attesa che arrivi il suo momento, ogni sera segue in bici la moto di un suo amico per 15 km fino al vicino paese di Bagnolo dove fanno insieme ginnastica ed esercizi. Durante il giorno lavora e studia all’istituto tecnico di Guastalla dove impara le tecniche di saldatura.
Finalmente l’occasione, è ormai primavera e alla Bagnolese uno degli allievi si ammala e viene chiamato in squadra e comincia qui la sua carriera ciclistica con 9 anni di professionismo, 8 giri d’Italia, 2 Tour De France e 2 Vuelta de Espania, oltre alle numerosissime classiche, correndo con grandi ciclisti come Eddy Merckx, Michele Dancelli, Franco Bitossi, Arnaldo Pambianco, Rik Van Looy, Gianni Motta, Jacques Anquetil.
Sempre da dilettante con la maglia della Bagnolese nel 1956 vince il titolo di Campione Italiano allievi UISP. Nel ’57 passa alla G.S: Masone di Reggio Emilia dove ottiene 9 vittorie e due posti d’onore con diversi piazzamenti nei piani alti della classifica. Alla fine dell’anno la famiglia torna a Cesena ma Guido rimane ciclicamente legato a Reggio Emilia iscrivendosi alla GS Burro Giglio squadra dove milita per quattro stagioni, ottenendo 28 vittorie che lo portano al professionismo nel 1962 chiamato da Gino Bartali alla San Pellegrino. Nei primi due anni da professionista ottiene ottimi piazzamenti concludendo il Giro d’Italia 24° posto nel 1962 e al 47° nel 1963.
All’inizio della stagione 1964, a 25 anni rimane senza squadra a causa dello scioglimento del Gruppo Sportivo San Pellegrino.
“Fu un’esperienza purtroppo negativa, non per colpa di Gino Bartali ma per dei strani fatti che si abbatterono come una bufera sulla San Pellegrino che decise di concludere così la sua avventura nel mondo del ciclismo. Quell’anno il ciclismo professionistico, per motivi che non posso sindacare, si trovò ad annoverare ben due campioni d’Italia contemporaneamente, Fontana (San Pellegrino) e Mealli (Bianchi). La Federazione intervenne risolvendo il problema assegnando il titolo Tricolore a Mealli (Bianchi). La San Pellegrino non condivise la decisione e si ritirò passando il testimone alla “Firte” che ci pagò lo stipendio per due mesi ma, poi, chiuse i battenti e io mi ritrovai disoccupato. Una brutta faccenda, soprattutto per chi, come me, non aveva nessuna voglia di appendere la bici al chiodo. Avevo soltanto 25 anni e tanta voglia di pedalare, non mi persi d’animo e, un soggiorno vinto come premio TV ad Alassio della Sanremo del 1963; ne approfittai anche per studiare il percorso del Trofeo Laigueglia, una corsa nuova alla prima edizione e che inaugurava la stagione ciclistica dei professionisti. In quegli anni, nelle prime corse della stagione, si poteva prendere il via alle corse anche senza essere tesserati da una squadra professionistica, ecco come partecipai al Laigueglia del 1964”
Non riesce a trovarne una e il 23 febbraio si presenta al Trofeo Laigueglia con la maglia del Dopolavoro Masone. È la prima edizione della corsa in programma sulle strade della Riviera Ligure di Ponente e, correndo da isolato, Neri è deciso a mettersi in mostra, talmente deciso da entrare in un sestetto di fuggitivi tra i quali Adorni. Volendo dimostrare il suo valore, Guido attacca con vigore, lo rincorrono, gli danno la caccia, ma il romagnolo resiste e vince in solitudine con 20″ su Bailetti, 41″ su Meco, 54″ su Carlesi, Minieri, Cribiori, Adorni e Zilioli. Un colpaccio che nessuno si aspettava. Questo fu il suo commento al cronista:
“Volevo distinguermi e mi sono preparato alla bisogna. Adesso spero che qualcuno mi dia fiducia. È triste trovarsi nei panni del disoccupato. Non penso di meritare un ruolo del genere…“.
Dopo la vittoria viene chiamato da Giorgio Albani, direttore sportivo della Molteni, e così Neri diventa compagno e scudiero per 3 stagioni di Gianni Motta. Nel 1967 passa alla Max Meyer e nel 1970 conclude l’attività con la maglia della Scic. Non ottiene più successi ma si distingue per generosità e fedeltà verso i suoi capitani e nelle giornate di libertà va in cerca di soddisfazioni personali: è tra i primi in alcune tappe del Giro d’Italia e vince la classifica dei traguardi volanti al Tour de France del 1966; piccole soddisfazioni che hanno il loro significato.
“La più grande soddisfazione da corridore, oltre al trionfo nel Laigueglia, ricordo ancora oggi con grande commozione il Tour del 1966 dove mi classificai al primo posto nella classifica finale dei Traguardi Volanti. Grazie a questa vittoria feci il Giro d’onore sull’anello del Parco dei Principi, ricordo ancora gli applausi della folla e la grande gioia ed emozione provata in quella occasione, gioia ed emozione che vivo tuttora perché, e lo dico con grande orgoglio, sono stato l’ultimo corridore italiano a fare il giro d’onore al Parco dei Principi perché, l’anno dopo, il Velodromo parigino fu demolito.”
La ciliegina sulla torta fu il premio della simpatia attribuito dai giornalisti:
“In genere ad ogni tappa veniva dato a un campione, ma sulle Alpi lo assegnarono a me perché avevo segnalato a radiocorsa la caduta del mio compagno De Rosso sul Monginevro. Niente di speciale, feci solo ciò che tutti avrebbero fatto, ma evidentemente, il fatto colpì”.
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PATELLI
PATELLI
Bologna 1948 – 1998
CICLI PATELLI “Biciclette di classe“
Umberto Patelli / Vendita bici su misura / Bologna, Italia / 1949 – 1998
Sergio Patelli / Corridore / Vendita bici su misura / Bologna, Italia / 1965 – 1998
Luigi Patelli / Maestro artigiano costruttore / Bologna, Italia / 1940 – 1988
Fonti: Camera di commercio di Bologna / intervista a Sergio Patelli e il figlio Fausto / intervista a Dario Venturi e Roberto Morelli (dal 1998 titolari della Cicli Patelli snc)
Agonismo: 1953 Sergio Patelli, Campione Italiano Dilettanti / 1957 G.S. Patelli, Campione Italiano Dilettanti
Hanno collaborato con: Rauler, Ortelli, Testi, Veneziano
> Catalogo 1984 > Catalogo 1985 > Catalogo 1986
Per tutta la vita i fratelli Umberto, Luigi e Sergio Patelli si sono sostenuti a vicenda, insieme hanno attraversato un secolo di guerre e miseria. Ma nella loro storia c’è un quarto elemento che la rende speciale, una particolare energia che ha rafforzato il loro legame oltre il sentimento fraterno, l’inesauribile passione per la bicicletta.
Durante la guerra.
Nei primi anni ’40 prima Umberto e poi Luigi vengono assunti alla Cicli Testi di Bologna, piccola azienda artigiana specializzata nella costruzione di biciclette che una ventina d’anni più tardi diventerà una importante azienda motociclista.
Sergio, nato nel giugno del 1928, è il più piccolo e sicuramente il più ossessionato dei tre dalle biciclette, cosa ci può essere di meglio nella vita che lavorare sulle bici insieme ai fratelli maggiori? Niente, però erano proprio loro a inibirlo “siamo già in due a far questo mestiere Sergio! Bisogna che tu fai qualcos’altro.” e lo mandano a fare il calzolaio dove non resiste a lungo “mi facevano legare lo spago tutto il giorno” dopo un anno di sofferenze infatti riesce a farsi assumere dalla Testi, dove il fratello Luigi nel frattempo è già un saldatore provetto, mentre lui viene assegnato all’assemblaggio con Umberto, ma solo dopo aver passato un periodo di “gavetta” durante il quale ha costruito qualche migliaio di ruote.
S.P.: “Luigi era un incosciente totale. Un giorno, durante la guerra, gli alleati stavano bombardando il piccolo ponte a pochi metri da casa nostra e lui stava lì, alla finestra mentre a voce alta gli dava degli imbecilli perché non riuscivano a centrarlo. Quando gli ho fatto notare che era il caso di scappare giù nel rifugio e che potevamo anche morire da un momento all’altro lui mi ha detto – Sergio vacci te nel rifugio e subito! Però stai attento e copriti che è umido e ti vengono le artriti – Beh, in effetti poi le artriti mi son venute davvero.“
La tragedia della guerra non ha risparmiato nessuno, tantomeno la famiglia Patelli che ha perso la mamma a soli due mesi dalla resa.
Dopo la guerra.
Nel 1948 tutti e tre i fratelli si licenziano dalla Testi, pochi mesi dopo Umbeto apre il negozio in via San Vitale dove assume i due fratelli. La bottega, che vende biciclette da passeggio e telai speciali da corsa saldati da Luigi, rimane in attività fino al 1964 quando Umberto ne trasferisce la sede in via Matteotti e Luigi apre una sua officina in via Massarenti che attrezza a dover per la costruzione dei telai. Nel frattempo, sei anni prima, Sergio aveva aperto un negozio a suo nome nel quartiere Corticella, dove era andato ad abitare e dove era molto popolare grazie ai suoi successi da corridore, come il Umberto vende bici da corsa saldate da Luigi oltre ad accessori vari e abbigliamento sportivo.
Entrambi i negozi ebbero da subito un grande successo e tutti e tre si trovarono a lavorare anche 12 ore al giorno per tenere dietro alle tante commissioni.
Gli atti di apertura delle rispettive attività dei tre fratelli Patelli.
Umberto, Sergio, Luigi, il triangolo d’acciaio.
Ricapitolando, Luigi salda i telai grezzi sia per Sergio che per Umberto, i quali entrambi le firmano a proprio nome ma nel frattempo si aiutano a vicenda alternandosi nel lavoro di finitura e assemblaggio.
S.P.: “Io e Umberto ci davamo spesso il cambio nel processo di finitura che consisteva nell’andare fino a Funo (provincia di Bologna) dove c’era un artigiano che faceva la sabbiatura fine, i telai sai sono delicati e le altre sabbiature non andavano bene.
Poi bisognava passare da Lanciotto Righi, il “Mago della Lima”, il migliore in assoluto nella finitura a mano, di giorno faceva il limatore alla Testi e noi gli portavamo i telai direttamente a casa la sera. Poi c’era la fresatura e la cromatura durante la quale ai nostri telai facevamo fare il bagno integrale, così venivano ricoperti interamente da uno strato di Nichel che li avrebbe protetti a vita dalla ruggine.
Io poi ero particolarmente pignolo, un giorno mi è capitata in mano una scatola del movimento centrale di Cinelli fatta un po’ male, da quella volta sono sempre andato direttamente da loro con il campione in mano e le sceglievo una ad una. Ero diventato famoso alla Cinelli per questa mia pignoleria e Cino lasciava detto agli impiegati di chiamarlo quando arrivava Sergio Patelli perché ci teneva sempre a scambiare due chiacchere con me, solo che mia moglie mi faceva sempre una gran fretta perché il giro da fare era lungo, dovevo passare anche da quello delle pompe artigianali e poi il maglificio per le divise, le scarpe…”
Dodici anni dopo.
Nel 1976, Umberto acquista un capannone in via Paganino Bonafede dove apre una grande officina per la costruzione di telai su misura, oltre alla produzione di dime, accessori e attrezzi da vendere nei due negozi. Il maestro saldatore e pantografo è ovviamente sempre Luigi, il quale nel frattempo è diventato un abilissimo artigiano, in officina anche alcuni operai addetti all’assemblaggio e alle rifiniture. I telai Patelli diventano ben presto ambiti per leggerezza, qualità e finitura dei dettagli sia tra i corridori che tra i meccanici della regione e poi in tutta Italia.
L’officina è rimasta in attività fino al 1990, da quel momento in poi la saldatura dei telai viene affidata a terzi di cui i fratelli avevano stima, come l’artigiano “Silvestro” di Pianoro. Nel ’97 Umberto, arrivato alla pensione, ha lasciato il negozio di via Matteotti ai suoi collaboratori Roberto e Dario, grazie ai quali oggi la Cicli Patelli è ancora un prezioso punto di riferimento per i ciclisti bolognesi. Nello stesso anni anche Sergio chiude il negozio dopo 40 anni di attività.
Sergio Patelli.
Diversamente dai fratelli Sergio correva in bici e correva anche veloce. Da dilettante ha vinto ben 49 gare, un Giro del Sestriere e il titolo di Campione Italiano nella cronomotro a squadre del 1953, alla media di 42,2 kmh su 120 km delle strade di allora.
S.P.: “Ci fu una volta nel ’47, quando correvo per la Velo, che sono partito da solo per partecipare come indipendente alla gara internazionale Gran Premio del Rosso di Montecatini. A un certo punto abbiamo affrontato il monte Oppio, una salita durissima che non si vedeva mai la fine, mai, a un certo punto mi è scappata la pazienza e mi sono fermato sul fianco della strada e da una delle mie cinque tasche ho tirato fuori una ciambella. Niente roba strana eh?! Solo una ciambella.
Non ho fatto in tempo a finirla che vedo uno della giuria corrermi incontro e urlare “Ma te! Cosa fai? Sei pazzo? Eri terzo e ti fermi a mangiare??! Dai che ti son passati davanti in tanti ma forse arrivi ancora tra i quindi premiati!”.
A quel punto son tornato in sella e sono andato dietro al gruppo, arrivato alla prima curva mi sono accorto che in realtà ero già arrivato in cima e son cominciate le discese, giù fino a Montecatini. Una volta arrivato sulle strade del paese una macchina mi si è messa davanti facendomi cadere, accumulo ancora ritardo ma riesco ad alzarmi e a ripartire Quando arrivo allo stadio c’è quel signore di prima “Ma dove sei sparito un’altra volta??? Dai allora corri che forse ce la fai! Vaiiii!!!”. Entro nello stadio e scopro di essere arrivato quindicesimo! Mi diedero come premio ben 1.500 lire e poi altre 6.500 perché ero il più giovane tra i premiati, avevo 19 anni.”
Sergio si ritira dall’agonismo nel 1954 a 26 anni. “Mi ero fidanzato e poi volevo lavorare con i miei fratelli“. Peccato perché era davvero un talento promettente ma la categoria Dilettanti in quegli anni non era cosa facile. Oggi ha 88 anni e un giovanissimo senso dell’umorismo
S.P.: “Tra fratelli ci siamo sempre aiutati, sempre insieme. Luigi, il più grande di noi quattro, fece la bici anche a mia sorella, che ovviamente era anche la sua. Dopo le corse mi chiamava sempre per sapere com’era andata e se avevo preso la pioggia veniva a casa mia, svitava la sella e la massaggiava con il grasso, così che non facesse le grinze. Quando ho aperto il negozio mi ha costruito una pompa enorme e indistruttibile ma anche bella dura da spingere. È ancora qua, la pompa, pronta per quelli che vengono a trovarmi con le ruote sgonfie, adesso però gli dico che se la devono usare da soli.”
Paolo Giordani, collaboratore di Umberto Patelli.